Discorso sul modo migliore di catturare un serpente

by Thich Nhat HanhNovember 26, 2021

Ho udito queste parole del Buddha una volta che si trovava nel monastero di Anathapìndika, nel parco di Jeta, vicino a Shràvasti. In quel tempo il monaco Arittha, che prima di essere ordinato monaco era un addestratore di avvoltoi, era erroneamente convinto che secondo gli insegnamenti del Buddha i piaceri dei sensi non fossero di ostacolo alla pratica. Molti monaci, venutolo a sapere, andarono da Arittha e gli chiesero: “Fratello Arittha, credi davvero che il Buddha insegni che i piaceri dei sensi non sono di ostacolo alla pratica?”

Arittha rispose: “Sì, amici, è vero. Credo che il Buddha non consideri i piaceri dei sensi come un ostacolo alla pratica”.

I monaci lo rimproverarono: “Fratello Arittha, tu fraintendi gli insegnamenti del Buddha e in questo modo lo calunni. Il Signore non ha mai detto che i piaceri dei sensi non sono d’ostacolo alla pratica; al contrario, ricorre a molti esempi per insegnare che i piaceri dei sensi sono di ostacolo alla pratica. Dovresti abbandonare la tua convinzione errata”. Sebbene i monaci lo consigliassero in tal senso, Arittha non si convinse a cambiare opinione.

Tre volte gli chiesero di abbandonare la sua convinzione erronea e tre volte Arittha rifiutò, continuando ad asserire che gli altri avevano torto e lui ragione.

Allora i monaci si recarono dal Buddha, si prostrarono ai suoi piedi, sedettero e si rivolsero a lui con rispetto: “Onorato dal mondo, il monaco Arittha sostiene che secondo i tuoi insegnamenti i piaceri dei sensi non sono di ostacolo alla pratica. Gli abbiamo chiesto tre volte di recedere dalla sua convinzione erronea ma egli persevera nell’errore; dunque siamo venuti da te, o signore. Che cosa dobbiamo fare?”.

Udito questo, il Buddha chiese ad uno dei monaci di invitare Arittha a raggiungerlo nella sua capanna. Il monaco si levò in piedi, si prosternò, fece [le consuete] tre circumambulazioni intorno al Buddha e poi si recò dal monaco Arittha. Questi, sentendo che il Buddha desiderava vederlo, andò immediatamente da lui, gli si prostrò dinanzi e poi si sedette da parte. Il Buddha disse: “Arittha, è vero quanto vai dicendo, che io insegno che i piaceri dei sensi non sono di ostacolo alla pratica?”.

Arittha rispose: “Sì, mio signore, in effetti sono convinto che secondo lo spirito dei tuoi insegnamenti i piaceri dei sensi non siano di ostacolo alla pratica”.

Il Buddha lo rimproverò. “Arittha che cosa ha fatto sorgere in te questa idea? Quando mai mi hai sentito dire che i piaceri dei sensi non costituiscono un ostacolo alla pratica? Chi ha detto che è questo che insegno? Arittha, sei in errore. I fratelli nel Dharma ti hanno consigliato di abbandonare la tua convinzione erronea e così dovresti fare”. Il Buddha poi si rivolse agli altri monaci: “Monaci, mi avete mai sentito insegnare che i piaceri dei sensi non sono di ostacolo alla pratica?”.

I monaci risposero: “No, signore, mai”.

E il Buddha chiese: “Che cosa mi avete udito insegnare?”.

I monaci risposero: “Abbiamo udito il signore insegnare il contrario, che i piaceri dei sensi sono come uno scheletro, un pezzo di carne cruda, un fuoco di paglia, una fossa piena di carboni ardenti, un serpente velenoso, un sogno, sono possedimenti presi in prestito, o un albero carico di frutti”.

Il Buddha continuò: “E’ esatto, o monaci. Ho sempre insegnato che i piaceri dei sensi sono di ostacolo alla pratica. I piaceri dei sensi sono come uno scheletro, un pezzo di carne cruda, un fuoco di paglia, una fossa piena di carboni ardenti, un serpente velenoso, un sogno, sono proprietà in prestito, sono un albero [troppo] carico di frutti. Monaco Arittha, tu hai frainteso sia la lettera che lo spirito dei miei insegnamenti.

Hai presentato i miei insegnamenti all’opposto di quello che io intendevo. Mi hai travisato e perfino calunniato, e allo stesso tempo hai portato danno a te stesso e agli altri. Si tratta di una trasgressione grave che indurrà molta tristezza nei nobili insegnanti e nei praticanti sinceri”. Udendo i rimproveri del Buddha, il monaco Arittha chinò il capo in silenzio. Era così colpito e sconvolto da non riuscire a profferire parola.

Dopo avere così rimproverato Arittha, il Buddha insegnò ai monaci: “Monaci, è importante che comprendiate a fondo gli insegnamenti che offro, prima di trasmetterli o di metterli in pratica. Se non avete capito il significato di questo o quell’insegnamento, vi prego, chiedete [spiegazioni] a me, a uno dei fratelli anziani nel Dharma o, fra gli altri, a qualcuno che eccelle nella pratica. C’è sempre qualcuno che non capisce la lettera o lo spirito di un insegnamento e quindi lo interpreta proprio in senso opposto a quello in cui è stato concepito, sia che si tratti di insegnamenti espressi in prosa o in versi, profezie, riassunti in versi, spiegazioni con elementi dell’originazione interdipendente, similitudini, affermazioni estemporanee, citazioni, racconti sulle vite precedenti, avvenimenti miracolosi, commentari approfonditi oppure chiarimenti attraverso definizioni. Ci sono sempre persone che studiano unicamente allo scopo di soddisfare la propria curiosità o di prevalere nei dibattiti, non per raggiungere la liberazione. Mosse da una simile motivazione non colgono il vero spirito dell’insegnamento, possono attraversare momenti molto duri e incontrare difficoltà dalle quali non traggono il minimo beneficio, e finiscono per esaurirsi.

Monaci, una persona che studia in questo modo può essere paragonata a un uomo che cerca di catturare un serpente velenoso, nella foresta. Se allunga la mano, il serpente può mordergli la mano, la gamba o qualche altra parte del corpo. Cercare di catturare un serpente in quel modo non presenta nessun vantaggio e può solo essere fonte di sofferenza.

Monaci, comprendere i miei insegnamenti nel modo sbagliato è la stessa cosa. Se non praticate il Dharma correttamente potreste arrivare a capire l’opposto di quello che si intendeva dire. Se invece praticate con intelligenza comprenderete sia la lettera che lo spirito degli insegnamenti e sarete in grado di spiegarli correttamente. Non praticate solo per esibirvi o discutere con gli altri, praticate per raggiungere la liberazione; così facendo [la pratica] vi costerà poca pena e fatica.

Monaci, uno studente di Dharma intelligente è come un uomo che utilizza un ramo biforcuto per catturare un serpente. Quando vede un serpente velenoso nella foresta, colloca la forcella proprio dietro la testa del serpente e poi lo afferra per il collo, con la mano: anche se il serpente gli si attorciglia intorno alla mano o alla gamba o a un’altra parte del corpo, non riuscirà a morderlo. Questo è il modo migliore di catturare un serpente, e non comporta alcuna pena o fatica.

Monaci, un figlio o una figlia di buona famiglia che studia il Dharma deve adoperarsi con tutte le sue capacità per comprendere la lettera e lo spirito degli insegnamenti(*). Non dovrebbe studiare per vantarsi, dibattere o discutere, ma solo per ottenere la liberazione. Studiando in quel modo, con intelligenza, ne avrà poca pena o fatica.

Monaci, vi ho parlato molte volte dell’importanza di riconoscere quando sia il momento di lasciar andare la zattera e non rimanervi aggrappati senza necessità. Quando un ruscello di montagna si gonfia e diviene un torrente straripante pieno di detriti, un uomo o una donna che lo vogliano attraversare potranno pensare: ‘Qual è il modo più sicuro per attraversare questo torrente?’ Valutata la situazione, forse decideranno di raccogliere rami e fasci d’erba, costruire una zattera e usarla per andare all’altra riva. Ma una volta arrivati dall’altra parte, pensano: ‘Ho impiegato molto tempo e molta energia a costruire questa zattera. E’ un bene prezioso, lo porterò con me proseguendo il viaggio’. Monaci, pensate che sarebbe intelligente caricarsi la zattera sulle spalle o sulla testa e portarsela dietro, sulla terraferma?”

I monaci risposero: “No, Onorato dal mondo”.

Il Buddha disse: “In che modo quella persona avrebbe potuto agire più saggiamente? Avrebbe potuto pensare: ‘Questa zattera mi è stata d’aiuto per arrivare sano e salvo dall’altra parte del fiume; ora la lascerò sulla riva perché qualcun altro la possa utilizzare nello stesso modo.’ Non sarebbe questa una cosa più intelligente da fare?”

I monaci risposero: “Sì, Onorato dal mondo”.

Il Buddha concluse: “Vi ho dato più volte questo insegnamento sulla zattera, per ricordarvi quanto sia necessario lasciar andare tutti i veri insegnamenti, tanto più gli insegnamenti che non sono veri”.

“Monaci, le convinzioni poggiano su sei basi. Questo significa che esistono sei diversi tipi di percezioni erronee da abbandonare. Quali sono?

Primo, il corpo: che appartenga al passato, al futuro o al presente, che sia nostro o di qualcun altro, esile o grosso, bello o brutto, vicino o lontano, il corpo non è mio, non è me, non è il sé.’ Monaci, osservate in profondità al fine di vedere la verità riguardo al corpo.

Secondo, le sensazioni. Terzo, le percezioni. Quarto, le formazioni mentali. Che questi fenomeni appartengano al passato, al presente o al futuro, che siano nostri o di qualcun altro, sottili o grossolani, brutti o belli, vicini o lontani, essi non mi appartengono, non sono me, non sono il sé.

Quinto, la coscienza. Qualunque cosa vediamo, udiamo, percepiamo, conosciamo, afferriamo con la mente, osserviamo o pensiamo nel presente o in qualunque altro tempo non ci appartiene, non è noi, non è il sé.

Sesto, il mondo. Alcuni pensano: ‘Il mondo è il sé. Il sé è il mondo. Il mondo è me. Io continuerò a esistere senza cambiamenti perfino dopo la morte. Io sono eterno. Non scomparirò mai.’ Vi invito a meditare in modo da riuscire a rendervi conto che il mondo non è mio, non è me, non è il sé. Vi invito a guardare in profondità, così da riuscire a vedere la verità riguardo al mondo”.

Udito questo un monaco si alzò, si scoprì la spalla destra e giunse le mani in segno di rispetto, poi chiese al Buddha: “Onorato dal mondo, possono paura e ansia sorgere per una causa interiore?”.

Il Buddha rispose: “Sì, paura e ansia possono sorgere per una causa interiore. Se pensi: ‘Le cose che in passato non esistevano poi sono venute in essere, ma ora non esistono più’, ti sentirai triste o cadrai nella confusione e nella disperazione. Ecco come possono sorgere paura e ansia per una causa interiore”.

Lo stesso monaco chiese ancora: “Onorato dal mondo, è possibile impedire che sorgano paura e ansia di origine interiore?”

Il Buddha rispose: “Sì, è possibile impedire che sorgano paura e ansia di origine interiore. Se non pensi: ‘Le cose che in passato non esistevano poi sono venute in essere, ma ora non esistono più’, non ti sentirai triste né proverai confusione e disperazione. In questo modo si può impedire che sorgano paura e ansia di origine interiore”.

“Onorato dal mondo, la paura e l’ansia possono sorgere anche per una causa esterna?”

Il Buddha spiegò: “Paura e ansia possono sorgere anche per una causa esterna. Magari pensi: ‘Questo è il sé. Questo è il mondo. Questo sono io. Io esisterò per sempre.’; poi incontri il Buddha o un suo discepolo che ha comprensione e intelligenza sufficiente da insegnarti a lasciar andare tutte le convinzioni sull’attaccamento al corpo, al sé e agli oggetti del sé con l’intento di rinunciare all’orgoglio, alle formazioni interne e alle dispersioni di energia, e pensi: ‘È la fine del mondo, questa! Devo rinunciare a ogni cosa. Io non sono il mondo. Io non sono me. Io non sono il sé. Non esisterò per sempre: quando morirò, scomparirò del tutto. Non c’è niente da attendere, nulla di cui gioire o da ricordare’: allora ti sentirai triste, confuso e disperato. Ecco come possono sorgere paura e ansia per una causa esterna”.

Il Buddha domandò: “Monaci, pensate che i cinque aggregati e il sé siano permanenti, immutabili e non soggetti a distruzione?”.

“No, venerabile maestro”.

“Esiste qualcosa a cui ci si possa aggrappare con attaccamento senza che sia causa di ansia, sfinimento, dolore, sofferenza e disperazione?”

“No, venerabile maestro”.

“Esiste un modo di considerare il sé in cui si possa prendere rifugio che non causi ansia, sfinimento, dolore, sofferenza, e disperazione?”

“No, venerabile maestro”.

“Avete ragione, o monaci. Ogni volta che si ha un’idea del ‘sé’ si ha anche un’idea di ciò che appartiene al ‘sé’. Quando non c’è alcuna idea del sé, non c’è alcuna idea di cose che appartengano al sé. ‘Sé’ e ciò che gli appartiene sono due idee che si fondano sul tentativo di concepire cose che non possono essere concepite e di dimostrare cose che non possono essere dimostrate. Tali percezioni erronee hanno l’effetto di avvincerci nei legami delle formazioni interne che sorgono nel momento in cui siamo presi da idee inconcepibili, indimostrabili e che non hanno fondamento nella realtà. Comprendete che si tratta di percezioni erronee? Vedete le conseguenze di simili percezioni erronee, nel caso del monaco Arittha?”

I monaci risposero: “Sì, venerato Maestro. Si tratta di percezioni erronee e se ne possono scorgere le conseguenze nel caso del monaco Arittha”.

Il Buddha continuò: “Un monaco, quando considera le sei basi delle convinzioni erronee, se non fa sorgere in sé l’idea di ‘io’ o ‘mio’ non è prigioniero delle catene di questa vita. Dal momento che non è costretto dalle catene di questa vita, non ha paura. Non avere paura significa giungere al nirvana. Una persona del genere non è più turbata da nascita e morte; ha condotto una vita santa; ha fatto ciò che va fatto; non passerà per ulteriori nascite e morti; conosce la verità delle cose così come sono. Un monaco come questo ha colmato il fossato, l’ha attraversato, ha distrutto la cittadella nemica, ne ha scardinato la porta, è in grado di guardare direttamente nello specchio della comprensione suprema.

Monaci, questa è la via del Tathāgata e di coloro che hanno ottenuto la liberazione. Indra, Prajàpati, Brahma e gli altri déi al loro seguito, per quanto cerchino, non possono trovare alcuna traccia o base della coscienza di un Tathāgata. Il Tathāgata è una nobile fonte di freschezza e di quiete. In questo stato non c’è eccitazione o prostrazione. A volte asceti e bramani, avendo ascoltato i miei insegnamenti, mi calunniano sostenendo che non dico la verità, che il monaco Gautama propone una teoria nichilista e insegna l’assoluta inesistenza mentre in realtà gli esseri viventi esistono.

Monaci, il Tathāgata non ha mai insegnato ciò che essi affermano insegni. In verità, il Tathāgata insegna soltanto come mettere fine alla sofferenza per giungere alla condizione della non paura. Se qualcuno accusa, critica, calunnia o aggredisce il Tathāgata, egli non se ne cura; non si adira, non se ne va in preda all’odio né tenta di vendicarsi. Se qualcuno lo accusa, lo critica, lo diffama o lo aggredisce, come reagisce il Tathāgata? Egli pensa: ‘Se qualcuno rispetta, onora o fa offerte a un Tathāgata, questi non se ne compiace: si limita a pensare che quella persona agisce così perché il Tathāgata ha raggiunto il frutto del risveglio e della trasformazione’.”

Dopo aver ascoltato queste parole del Buddha i monaci ne misero in pratica gli insegnamenti con grande gioia.

(*) “Di buona famiglia”, all’epoca del Buddha, significava “con un buon karma familiare che ha portato la persona in questione a entrare in contatto con il Dharma”. (NdT)


Da Arittha Sutra, Madyama Agama 220 Alagaddupama Sutta, Majjhima Nikaya 2269

Testo completo e commento in: Thich Nhat Hanh, Un silenzio tonante, Associazione Essere Pace, Milano 2006.